Riprendiamo l’attività del nostro blog con la relazione del Prof. Salvatore Giammusso all’Istituto degli Studi Filosofici a Napoli il 3 ottobre 2018, in occasione della giornata commemorativa di Alexander Lowen a 10 anni dalla sua scomparsa.
A cura di Salvatore Giammusso [1]
Nella mia relazione vorrei formulare alcune riflessioni sul rapporto tra filosofia e psicoterapia a partire dalla bioenergetica. Cercherò di rispondere a due semplici domande, e cioè cosa apprende la filosofia da un sistema di psicologia della personalità e di psicoterapia come quello sviluppato da Alexander Lowen, e – rovesciando la prospettiva – cosa possa apprendere dalla filosofia un sistema di psicologia a mediazione corporea come la bioenergetica.
Comincio con il ricordare che Alexander Lowen è stato un allievo di Wilhelm Reich, uno tra i più geniali e discussi allievi di Freud. Già questo lignaggio dice qualcosa che ci aiuta a inquadrare il contributo di Lowen alla psicologia della personalità e alla psicoterapia contemporanea. La bioenergetica può essere intesa infatti come una variazione della psicologia psicoanalitica che si distingue per alcuni tratti caratteristici, in particolare l’analisi delle manifestazioni corporee e degli stili comunicativi, senza per questo trascurare l’interpretazione dei sogni e l’analisi del carattere, cui offre contributi innovativi.
Il concetto di carattere, un antico concetto della filosofia a partire da Aristotele e Teofrasto, giunge a Lowen nella sua forma scientifica moderna attraverso la mediazione di una fondamentale opera reichiana degli anni Trenta, L’Analisi del carattere. Quest’ultima, a sua volta, affonda le radici nella teoria freudiana degli stadi nello sviluppo psicoevolutivo; ma, rispetto a Freud, Reich diede un’impostazione che spostava l’attenzione dal significato dei sintomi nevrotici, al modo complessivo in cui l’energia del paziente si “caratterizza”. Il carattere diventa così il modello secondo cui avviene la comunicazione corporea con il mondo circostante: il modo di parlare, di gesticolare, di muoversi e agire, di esprimere mimicamente le emozioni. Secondo Reich questi tratti formano una “corazza” che rappresenta il conflitto tra l’impulso all’espansione orgastica e la contrazione ansiosa, indotta dall’introiezione di modelli autoritari e repressivi.
Per figurarsi questo concetto di “corazza”, conviene pensare ai gladiatori romani. Le loro armature non erano casuali, ma pensate per difendersi da un certo tipo di avversario e per consentire determinati movimenti aggressivi. Ad esempio, i provocatores erano armati in modo leggero e non potevano sostenere scontri con i gladiatori “pesanti”; in maniera analoga i secutores erano adatti a combattere solo con i retiarii, e così via. La corazza caratteriale funziona allo stesso modo: il suo peso difende sì dai conflitti interni ed esterni, ma preincanala il movimento in una direzione specifica, e in modo inconscio precostituisce le esperienze possibili.
Fuor di metafora: la corazza sta per la contrazione ansiosa, che per Reich è antagonista del movimento orgastico; e se in qualche misura può essere adatta ai combattimenti (ma non a tutti), è decisamente limitante in altre situazioni, ad esempio nell’amore.
L’approccio bioenergetico ha assonanze con la teoria reichiana, ma se ne distingue sotto molti aspetti di teoria e pratica clinica. Lowen ha offerto una più accurata diversificazione delle strutture caratteriali, ancorando la sua tipologia, da un lato, alle fasi di sviluppo evolutivo del bambino, dall’altro alla teoria dei bisogni, così come è stata formulata nelle esperienze più avanzate della psicologia e psicoterapia umanistica a partire dagli anni Sessanta. Penso soprattutto al modello di Abraham Maslow, ma anche alla teoria gestaltica di Fritz Perls.
Dal punto di vista di Lowen, il fine della terapia non può essere identificato “soltanto” nel vivere una soddisfacente vita sessuale; i fini terapeutici di cui parla sono pensati in modo più estensivo: una salute vibrante, una condizione di apertura al movimento interno ed esterno, una fluidità emozionale, capace di integrare sensibilità e responsabilità, memoria e desiderio consapevole, insomma cuore e movimento nel mondo.
Una considerazione di tipo storico rende meglio comprensibile l’aggiustamento di rotta rispetto al filone psicoanalitico freudiano e reichiano. I contributi reichiani vanno compresi alla luce di contesti sociali in cui comportamenti autoritari e patriarcali rappresentavano lo stile dominante. Per Reich la sana vita sessuale è anche una via di liberazione dalla mentalità piccolo-borghese. Una generazione analitica dopo, la situazione socioculturale è cambiata radicalmente: a partire dagli anni Sessanta le strutture patriarcali e autoritarie nelle società industriali avanzate sono state messe in seria discussione e oggi sono diffusi stili di vita molto meno rigidi, che sotto molti aspetti sconfinano addirittura nell’esaltazione di effimeri piaceri individuali.
Al riguardo, il sociologo Christopher Lasch ha parlato del nostro tempo come età del narcisismo, datandone gli inizi agli anni Ottanta, un fenomeno che non ha più le caratteristiche circoscritte che gli attribuiva Freud e riguarda piuttosto l’intera società.
Proprio qui il discorso loweniano dimostra la sua attualità. Lowen mette in guardia dalle illusioni narcisistiche e fa valere un più estensivo principio del piacere, inteso come vitalità e creatività. In questa prospettiva assume un particolare significato il grounding, il processo di radicamento, che rappresenta una delle più importanti acquisizioni del suo approccio. Si tratta di imparare (o reimparare) a stare con i piedi per terra. Anche sotto l’aspetto clinico, si può notare l’innovazione: Lowen ha messo il paziente in piedi, a contatto con il “qui e ora”, con la terra, con la dimensione adulta, con il principio di realtà, in opposizione alle illusioni e alle proiezioni narcisistiche. Nel suo approccio il lavoro sul lettino analitico conserva un ruolo rilevante, ma – rispetto alla psicoanalisi classica – è reso dinamico e vivo mediante gli esercizi sui distretti corporei. Il lavoro dinamico del corpo nel setting analitico rappresenta ora la via maestra all’inconscio: avendo il respiro e il movimento come guida il paziente “scende agli inferi” e attraversa metaforicamente l’Acheronte, che per gli antichi era il fiume del dolore.
In questo contesto si comprende l’affermazione di Lowen secondo cui “the only way out is the way down”, e cioè: l’unica via per uscire dalla conflittualità nevrotica è la via che va verso il radicamento nella terra. Lowen fa suo questo principio offrendone una variazione in chiave bioenergetica: la via verso il basso, ossia verso il radicamento nei bisogni e nei diritti del nostro corpo emozionale è il percorso da seguire per attraversare l’Acheronte. Ed è l’unica scelta sensata perché – letteralmente – re-gredire, ritornare alla riva confortante e nota delle difese nevrotiche, richiede un costo troppo alto: la perdita della gioia e del piacere di vivere.
Questa via individuata da Lowen è quella che oggi sembra tra le più adatte ed efficaci, visto che il nostro tempo ama capovolgere la realtà e proporre modelli illusori che non procurano né gioia né piacere di vivere. Invece, seguendo l’insegnamento della bioenergetica, apprendiamo l’importanza di radicarci fisicamente e mentalmente nei bisogni e nel respiro (la madre e il padre archetipici), e a investire nella qualità di quello che viviamo e sperimentiamo. Parafrasando il modello reichiano, si può dire che con Lowen il grounding e il narcisismo sono i veri antagonisti. Più si è radicati, e meno si è disponibili alle illusioni narcisistiche.
Per quanto riguarda il campo della filosofia, può entrare senza dubbio in rapporto produttivo con le riflessioni e le esperienze maturate sul terreno della bioenergetica. In qualche modo, un rapporto indiretto già c’è perché proprio la filosofia ha preparato il terreno per una rinnovata attenzione alla dimensione corporea della vita. Penso a indirizzi di pensiero come la fenomenologia, al vitalismo di Bergson, ma soprattutto a Nietzsche. È lui che già a fine Ottocento ha posto il problema di un generale rivolgimento della cultura occidentale: si trattava di spostare il baricentro della vita dalle idee, dai valori e dalle norme astratte alla corporeità.
“Vi è più ragione nel tuo corpo – leggiamo nello Zarathustra – che non nella tua migliore saggezza”. Nietzsche rivendicava la dimensione corporea della vita, opponendola all’astrattezza della cultura scientifica e accademica, alle illusioni, incluso quelle religiose. Per lui occorreva “essere fedeli alla terra”, e seguire un modello di “grande salute” che fosse aderente allo spirito di Dioniso, il dio che sa danzare.
Fatte le dovute distinzioni, anche Lowen crede senz’altro alla saggezza del corpo, e lavora perché il paziente la scopra (o la riscopra). E in questo senso vanno anche la psicologia e la psicoterapia a indirizzo umanistico (penso ad esempio al concetto rogersiano della tendenza attualizzante dell’organismo).
Ora, se è vero che la filosofia della corporeità a partire da Nietzsche ha aperto la strada per molti indirizzi della psicologia e psicoterapia contemporanea, è anche vero che essa rappresenta una componente minoritaria nel dibattito filosofico contemporaneo. Anche in Europa oggi prevale la filosofia analitica di stampo anglosassone, che lavora soprattutto alla chiarificazione degli usi linguistici. Senonché, terapie a mediazione corporea come la bioenergetica loweniana offrono sollecitazioni che possono ravvivare la fenomenologia della corporeità.
Dalla bioenergetica si ricava l’idea secondo cui il corpo che si muove è il depositario di un sapere e di una saggezza più profonda di quella che può avere un corpo poco mobile. Il che poi è in piena sintonia con quello che dice Aristotele: ossia che il primo indizio della vita è il movimento. Questo prelude a una nuova etica vitalistica, che insista su virtù come la generosità, intesa come slancio di apertura verso la vita in genere, la veracità, l’autenticità, la congruenza. La filosofia può riscoprire la vitalità come valore fondamentale, e su questa base recuperare temi della sua stessa tradizione più antica come appunto l’etica del piacere e della felicità, che sono poi argomenti loweniani per eccellenza.
Vorrei infine concludere con un riferimento al delicato tema della spiritualità. Lowen pensa alla spiritualità come un’apertura legata alla grazia e all’armonia del corpo che respira; e a ben pensarci questi sono tutti concetti che la filosofia greca classica condivide con il pensiero orientale, e in particolar modo con il taoismo, cui del resto Lowen si riallaccia in modo esplicito. Di qui la filosofia può riabilitare il corpo come spazio dell’esperienza spirituale. Invece la filosofia moderna a partire da Cartesio non può percorrere questa strada perché assume come sostanze fondamentali il pensiero inesteso e i corpi ridotti a meccanismi simili agli orologi.
Questa mentalità è ancora molto radicata nei saperi e nell’opinione pubblica e produce una serie conseguenze nefaste: infatti porta a ritenere “scientifici” solo quei saperi che trattino il corpo come una macchina; e a ritenere “spirituali” solo pratiche che escludano la corporeità.
Ora, da Lowen e dalla bioenergetica proviene questa vigorosa spinta culturale che considera spirituale il corpo libero da blocchi, che abbia ripristinato l’armonia e l’eleganza naturale del movimento. Questa idea è particolarmente suggestiva perché ci consente di guardare con altri occhi alla tradizione europea prima dell’avvento dello spiritualismo religioso e dello scientismo moderno e, al tempo stesso, di gettare un ponte verso il pensiero e le arti dell’Estremo Oriente.
(Il testo è stato rivisto e leggermente abbreviato dalla redazione)
Note
[1] Università di Napoli “Federico II”.