Dire il proprio nome, farsi una gran risata e poi lanciare una pallina agli altri partecipanti all’incontro perché facessero lo stesso.
Già dall’incipit della conferenza “La risata come auto-espressione del sé corporeo” guidata da Lucio Sebastiani – counselor SIAB e conduttore di gruppi di “Yoga della risata” – si poteva intuire che quell’ora e mezza avrebbe regalato numerosi stimoli non solo a livello teorico-concettuale ma attraverso l’esperienza fisica ed emotiva di cui effettivamente il dialogo si è arricchito.
La prima parte dell’incontro ha puntato il suo sguardo su l’evoluzione che il ridere ha avuto nel tempo, accompagnando la storia dell’uomo e la sua evoluzione.
Filogeneticamente, scopriamo che siamo una vera e propria specie ridens: già cinque milioni di anni fa i primi ominidi ridevano, anche se la risata intesa nell’accezione moderna è sorta circa duecentomila anni addietro con la comparsa dell’Homo Sapiens. Ridere è iscritto nei nostri geni, è un comportamento innato che rappresenta una forma di proto-comunicazione: la comunicazione del “cessato pericolo”, un segnale che pur avvertendo sonoramente l’altro al pari di un grido, racconta ai propri simili che non devono davvero preoccuparsi. Da questo uso primario ne consegue un secondo, non meno importante: il riso diventa veicolo di coesione sociale. Quando ci apriamo a una risata mostriamo i denti, che sono pericolosi ma, al tempo stesso, innocui nell’atto di ridere. Come a dire: è un gioco, non c’è nulla da temere, siamo complici.
Perché ride un neonato? Ontegeneticamente, c’è intanto da osservare che la risata precede il linguaggio e la voce, è una delle prime espressioni assieme al pianto che ci connotano una volta venuti al mondo. In quanto organismo senziente e percettivamente competente, seppur vulnerabile, il bambino vive della/nella relazione con la madre. Nella sua “inermità originaria”, per usare le parole di Recalcati, il rapporto con il caregiver è fondamentale ed è proprio nello spazio condiviso fra madre e neonato che, già dai primi giorni, la risata nasce come sorriso riflesso, in relazione a stimoli come la poppata o il sonno, facendosi successivamente più sociale in risposta a input provenienti dalle figure di riferimento. Dal quarto mese circa, il sorriso evolve in risata sonora e si fa promotore dell’interazione del piccolo col mondo che lo circonda.
Ridere è un modello di comunicazione non verbale che continua a operare in modo simile anche nell’adulto e appare più chiaro perché coinvolgerci nella risata sia una possibilità di recupero della giocosità primordiale che ci caratterizza in quanto uomini. Ma quale risata consente tutto questo? E come una classe di Esercizi Bioenergetici può essere d’aiuto?
Alla prima domanda, ci dà diretta soluzione lo Yoga della risata che fa appello alla risata incondizionata: se da adulti ridere è un atto stimolato a livello cognitivo da fattori esterni, da qualcosa di comico e divertente, la forza della risata incondizionata bypassa l’intelletto e irrompe da dentro, parte dal corpo e vive attraverso di esso. Cambia il meccanismo, l’innesco è diverso, ma si attivano gli stessi pattern neurologici di una risata spontanea. Poco importa se stiamo provando realmente gioia: l’amigdala, deputata a riconoscere le emozioni, ‘legge’ quello che stiamo vivendo come qualcosa di buono fisicamente (inclusi i segnali che arrivano dai muscoli facciali coinvolti) e ‘si rilassa’ innescando una produzione biochimica di benessere.
Alla seconda domanda possiamo invece provare a rispondere con quanto Alexander Lowen scrive nel suo libro “Il piacere”: condizione essenziale per il piacere è il totale coinvolgimento in quello che si fa. Questo ci riporta direttamente al ricordo dei nostri giochi d’infanzia – momento esperienziale che Sebastiani ci ha invitato a condividere – alla capacità di essere presenti con tutto noi stessi a quanto ci sta fisicamente succedendo. La tensione verso il piacere è una forma di grounding: un radicamento nella nostra corporeità, nelle nostre sensazioni ed emozioni. Un contatto scambievole fra realtà interna ed esterna, nel qui ed ora.
E’ partendo dal corpo che inizia a tracciarsi in noi la strada per arrivare al piacere e a toccare “una risata di libertà”: esteriore, perché implica attraversare l’imbarazzo della presenza dell’altro nell’affermazione di sé, e interiore, con l’allentamento delle tensioni muscolari attraverso cui la risata si genera, producendo essa stessa onde convulsive che irrompono fisicamente e che sono in grado di attivare memorie antiche. In una classe di esercizi di bioeneregetica, grazie al potente collante sociale che la risata rappresenta, questa può trasformarsi da intenzione dell’Io a spontanea espressione del sé corporeo.
L’espressività pre-verbale di cui un corpo libero da tensioni si fa cassa di risonanza, il gruppo come contenitore e spazio ricostituivo di esperienze sperimentate nell’infanzia, il contagio sociale di un’esperienza condivisa.
Sono solo alcuni dei punti in comune che ben affiancano la Bioenergetica e lo Yoga della risata. Due strumenti molto diversi ma ugualmente potenti per facilitare il nostro arrenderci al corpo e risvegliare, così, la nostra dimensione ludica e più autenticamente umana.
Maurizio Formiconi