“La vitalità, il contatto con l’energia e la carica, la possibilità di essere
in contatto con la benevolenza e la bontà, amare e gioire, sono al centro del nostro lavoro.”
Scott Baum (2014)
La struttura del carattere è un meccanismo di sopravvivenza. E, come afferma Alexander Lowen (2001), non possiamo sapere se l’essere umano sarebbe sopravvissuto se non avesse sviluppato il suo carattere nevrotico: “Sappiamo per certo che la resistenza ad abbandonarlo, sebbene inconscia, è fortissima. La persona si comporta come se uscire dal carattere fosse un passo verso l’incertezza della vita o la morte”. Se l’individuo accetta i limiti del suo sistema allora è convinto che sia l’unico modo per salvaguardare il proprio nucleo e la vita.
Tutti noi abbiamo dovuto nel passato proteggerci dalle minacce reali o percepite nell’ambiente e da adulti continuiamo a mantenere con tanta tenacia tale struttura. “Sappiamo che nei nevrotici c’è un risentimento di fondo derivante dal fatto che sono sempre stati indotti a sentirsi sbagliati” (Lowen, 2001, p. 202). Difficile lasciar andare le difese che ci proteggono da questo sentimento anche perché vi sono resistenze molto profonde, come la “volontà di vivere”. La volontà è uno strumento dell’Io e rappresenta la sua capacità di controllare la motilità del corpo. Usando i muscoli volontari si può bloccare un movimento oppure affermare se stessi con un movimento guidato dall’atto di volontà. L’esistenza di volontà, secondo Lowen, è una prova dell’esistenza di un ostacolo. “Dove non c’è ostacolo a un impulso, la volontà non è necessaria. Non ho bisogno della mia volontà per fare qualcosa che desidero fare.” (Lowen, 2001, p. 203). Se per fare ciò che desideri naturalmente non c’è bisogno di nessuno sforzo conscio né volontà, perché le persone si sforzano per vivere e usano la propria volontà o determinazione? È una domanda alla quale Lowen ha cercato di risponde osservando i pazienti mentre loro trattenevano il respiro per non sentire disperazione e dolore insopportabile.
Al livello più profondo della personalità c’è in tutti gli organismi un desiderio pulsante di vivere che è un’espressione della forza vitale in un individuo. “Il desiderio di vivere è il fenomeno biologico che motiva l’istinto di autoconservazione.” (Lowen 2001, p. 205). La respirazione è la più visibile delle altre funzioni corporee e serve come indicatore dell’intensità di questa forza vitale. “La profondità con cui una persona inspira riflette la forza del suo desiderio di vivere.” (ibidem). Ogni esperienza infantile che indebolisce l’impulso di inspirare l’aria riduce la forza del desiderio di vivere. Di conseguenza, per vivere l’individuo usa la forza di volontà dell’Io e non la forza vitale, segue i concetti e le convinzioni mentali e non l’intuizione e la saggezza del cuore. Ho notato, che il permesso che una persona si dà per espirare riflette la forza del suo desiderio di amare e di condividere se stessa con l’altro.
Dal punto di vista emotivo molti corpi sono “morti” nonostante la volontà e lo sforzo che mettono per sopravvivere o persino per stare semplicemente bene. Lowen ha avanzato l’ipotesi di una sottostante “voglia di morire” a causa di un dolore insopportabile del passato. “Eliminare la capacità di sentire è un compromesso tra la voglia di morire e la volontà di vivere.” Le persone non “cedono” alla vita, ma si “tengono” alla vita, come se il lasciarsi andare alla vita significasse morire. L’individuo con una forte volontà di vivere è in uno stato di lotta, di difesa dalla vita. Ha un corpo estremamente rigido e senza capacità di sentire, spesso a dispetto della sua disperazione e frustrazione non riesce a piangere o piange superficialmente per la paura di sentire il proprio dolore nel corpo e di non sopravvivere a questo dolore. Non può “mollare”, crollare e arrendersi al corpo, a causa della sua rigidità caratteriale (psichica e somatica) che lo difende costantemente. Crollare, eventualmente anche nel pianto, significa entrare in una disperazione che è vicina alla morte.
L’impossibilità di lasciar andare le difese deriva dalla paura di tornare nello stato d’animo bisognoso e depresso di dipendenza che il nostro corpo “ricorda”, grazie alla memoria corporea implicita. Inizialmente il bambino prova amore verso la madre attraverso l’ambiguità e contemporaneità degli stati di eccitazione e quiete. Per la mancanza di una risposta sintonizzata con il suo stato d’animo, lui entra nello stato di preoccupazione e di sensi di colpa. “…il piccolo umano non è in grado di sopportare il fardello di colpa e di paura conseguente al riconoscimento, che le idee aggressive dell’originario amore istintuale spietato sono dirette verso la madre del rapporto dipendente (anaclitico)” (Winnicott, 1989, p. 78). Se la madre non regge la situazione e la frustrazione dopo essere stata “allontanata” dal bambino con l’aggressività del suo amore “eccitato ed istintuale” ed essa collegata, se non coglie la sua capacità innata della riparazione del contatto con la madre, il bambino perde fiducia nel suo sforzo costruttivo, diventa incapace di sopportare la colpa e quindi non è libero di amare in modo naturale ed istintuale. Se il bambino come reazione alla perdita reprime la capacità sana di essere di umore depresso, di sentire una sana dipendenza dalla madre, diventa inibito e perde la capacità dell’amore eccitato e corporeo, come il sorriso, lo sguardo o il gesto spontaneo d’amore, come il protendersi. Lasciare andare le difese significa anche attraversare la fase depressiva e accettare la posizione del “dipendere”, di aver bisogno dell’altro, per esempio, del terapeuta. Attraversare la collera per la perdita e ri-sentire l’autentico bisogno dell’altro, aiuta ad amare la propria polarità ed accettare gli stati d’animo, ad amare l’altro e ad esseri autonomi, ad amare la discontinuità, che è il cuore pulsante della vita.
Come afferma Bill White (2008), più gli uomini si allontanano dalla terra, più si sentono insicuri e più avranno la necessità di costruire le difese psico-corporei per poter ingrandire l’immagine dell’Io e tener lontana la coscienza dai bisogni reali. Tutti questi meccanismi di difesa automatici producono il mondo illusorio che, a sua volta, rafforza le difese. “A volte il cervello rifiuta il cuore a servizio di un’idea” e la connessione cuore-cervello resta debole. Il dirottamento ad opera del cervello provoca un limitato accesso al cuore e si crea una fissazione. Questi blocchi hanno una dimensione fisica, oltre che emozionale, e questo blocca l’accesso al cuore. Si crea un trattenimento addominale nelle viscere che impedisce di arrivare al cuore. Il motivo per cui un individuo adulto, con le risorse sufficientemente buone per avere un Io coeso, ha comunque una difficoltà di essere in contatto con i propri desideri, è perché l’accesso al cuore richiede uno stato di “decontrazione” intramuscolare e viscerale, che non è possibile raggiungere con le tecniche o con la forza di volontà.
I meccanismi di difesa sono sostenuti dalle rigidità e dai blocchi somatici, e viceversa. Essi proteggono l’individuo sia dal dolore del passato, che dalla sua vitalità. Amare, prendersi cura, essere amati e curati, sono stati dell’essere sperimentati nel corpo. Se sono stati interrotti, sarà difficile solamente a livello intellettuale e non corporeo ritrovare la capacità di provare piacere, sentirsi liberi e sentire la connessione basilare del Sé con la fiducia nella vita, mediata attraverso la connessione con gli altri. “L’analisi bioenergetica restituisce la speranza alle persone – inclusi noi professionisti – che attraverso la terapia la nostra vitalità possa essere ripristinata e la forza vitale positiva che esiste in ognuno, possa essere trovata e messa a frutto. Una volta liberati dai malsani vincoli di compensazione nevrotica, questa forza vitale ci porterà sempre più verso una vita di piacere. Con “piacere” mi riferisco ad una connessione con i sentimenti di benevolenza e bontà.” (Baum, 2008).
Bibliografia
Baum S., “Il corpo, la trasformazione del Sé e l’analisi bioenergetica: un’esplorazione personale”, presentazione al congresso SIAB, Sorrento, 2008.
Baum S. (2014). “Bioenergetica moderna: un approccio integrato alla psicoterapia”, in: Grounding. La rivista italiana di analisi bioenergetica, n.1.
White, B. “Al cuore delle cose”, presentazione al congresso SIAB, Sorrento, 2008.
Lowen A. (2001). The voice of the body. Trad. it. La voce del corpo Roma: Casa Editrice Astrolabio, 2009.
Reich W. (1949). Charakteranalyse. Trad. it. Analisi del carattere. Milano: Sugarco Edizioni 1973.
Wnnicott D. W. (1988). Human Nature. Trad. it. Sulla natura umana, Milano: Raffaello Cortina Editrice, 1989.