“L’ombra e le grazia, la pesantezza e la leggerezza, l’oscurità e la luce, il dolore dell’anima e la stella del mattino, la dignità ferita e la dignità salvata sono esperienze che si intrecciano l’una all’altra, e fanno parte della vita di ciascuno di noi nelle loro vertiginose alternanze e nelle loro misteriose alleanze.” (1) Queste parole si leggono sul quarto di copertina di un libro di Borgna, “La dignità ferita”, che lessi appena uscito nel 2013, un anno prima di poterlo incontrare e ascoltare di persona nel Convegno della Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia (FIAP), ai primi di ottobre del 2014, a Riva del Garda, esattamente dieci anni fa. Ascoltandolo mentre teneva la relazione principale di apertura, pensai che avevo conferma di quella sensazione che avevo provato leggendo i suoi scritti, ma ora la sensazione era più intensa e definita. Pensai che Borgna aveva un modo di porsi poetico, di una poeticità insieme intensa e discreta, incarnando così la legge misteriosa degli opposti a cui aveva fatto cenno nel suo discorso. Pensai anche che mi sembrava incarnasse anche il rispetto profondo per la fragilità umana, tema a lui caro, e la necessità di una psichiatria come scienza umana capace di riunificare soggettività e oggettività.

Eugenio Borgna era nato a Borgomanero, in provincia di Novara, e lì si è spento, il 4 dicembre di quest’anno, all’età di 94 anni. Al tema della fragilità aveva dedicato un testo, “La fragilità che è in noi”, da cui riproduco l’incipit: “Qual è il senso di un discorso sulla fragilità? Quello di riflettere sugli aspetti luminosi e oscuri di una condizione umana che ha molti volti (…) La fragilità negli slogan mondani dominanti è l’immagine della debolezza inutile e antiquata, immatura e malata, inconsistente e destituita di senso; e invece nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell’indicibile e dell’invisibile…” (2)

L’immagine che ho di lui, in quel salone luminoso, nella deliziosa Riva del Garda, in cui hanno passeggiato Johan Wolfgang Goethe, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud, e tanti letterati e artisti, è appunto quella di un uomo anziano fragile e intenso, in grado di ispirare il senso e il valore della dignità umana. Quell’uomo è stato tra i primi psichiatri, agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, a adottare metodi di cura fondati sull’incontro, sul dialogo, sull’ascolto empatico da parte degli operatori e a rifiutare il ricorso alla coercizione e alla contenzione. Egli è stato anche fra i maggiori esponenti, non solo in Italia, della psichiatria fenomenologica e della psicologia esistenziale, rigettando ogni forma di riduzionismo biologico. Infatti, ha dedicato la sua vita a fondare un’alleanza conoscitiva tra l’interiorità del paziente e l’interiorità del terapeuta, considerando l’intersoggettività terapeutica in questa chiave.

Possiamo dire che Borgna abbia magistralmente coltivato l’intento antiriduzionistico  e l’apertura dell’orizzonte di senso di ogni evento psichico, sia normale che patologico propri della fenomenologia, mantenendo in costante tensione dialettica la natura e l’esistenza, la spiegazione e la comprensione, il caso oggettivato e il caso incontrato nella singola realtà unica di quella persona, nella sua irriducibilità e irripetibilità, con il fine di salvare la totalità  dell’umano nella sua complessità. E di questo gli saremo sempre grati dal profondo del cuore.

 

Note

  • Borgna E. (2013). La dignità ferita. Milano: Feltrinelli Ed.re.
  • Borgna E. (2017). Le parole che ci salvano. Torino: Einaudi Ed.re.