Presentiamo di seguito il dialogo immaginario di Freddy Torta, Direttore di Training SIAB a Milano, con il terapeuta e amico Attilio Gardino, scomparso nel 2019. E’ un testo altamente suggestivo ed evocativo, molto personale, che però sviluppa argomenti importanti: il rapporto del nostro pensiero con la realtà, il rapporto tra “corpo e parola”, la funzione protettrice dell’ideologia e delle nostre credenze. Il discorso è condotto mediante il riferimento alla famosa fiaba di Hans Christian Andersen, “I vestiti nuovi dell’Imperatore”.
Buona lettura!
C’era una volta un mio amico, si chiamava Attilio Gardino: tra le tante cose che faceva amava stupire gli altri con la sua intelligenza.
A volte si spingeva così in alto che io non lo capivo più, eppure sono intelligente anch’io…
Allora gli dicevo Attilio vieni giù!
Lui rideva sotto i suoi bei baffi e si vedeva che si aspettava che fossi io a dovere salire su.
Da cinque anni ormai se ne è andato, non so se giù o su: lo voglio ricordare
provando ad impegnarmi in una ascesa verso alcuni picchi del suo pensiero.
Auspico una cordata di volontari pronti a meditare con me su una sua conferenza tenuta nel novembre del 2016, intitolata “I vestiti dell’imperatore, ovvero l’utopia della realtà”: una vetta stagliata sul cielo terso della sua passione per l’astrazione.
Cominciava con una fiaba di Hans Christian Andersen, che dava per scontato fosse ben conosciuta e che per sicurezza io voglio raccontare.
Molti anni fa viveva un imperatore che amava avere sempre bellissimi vestiti nuovi, tanto da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente….
Nella grande città in cui abitava ci si divertiva molto: ogni giorno giungevano molti stranieri.
Una volta arrivarono due impostori: si fecero passare per tessitori e sostennero di saper tessere la stoffa più bella che mai si potesse immaginare.
Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili agli uomini che non erano all’altezza della loro carica e a quelli molto stupidi.
“Sono proprio dei bei vestiti!” pensò l’imperatore.
“Con questi potrei scoprire chi nel mio regno non è all’altezza dell’incarico che ha, e riconoscere gli stupidi dagli intelligenti.”
Diede quindi ai due truffatori molti soldi, affinché potessero cominciare a lavorare.
Questi montarono due telai e fecero finta di lavorare, ma non avevano proprio nulla sul telaio. Chiesero la seta più bella e l’oro più prezioso, ne riempirono le borse e lavorarono con i telai vuoti fino a notte tarda.
“Mi piacerebbe sapere come proseguono i lavori per la stoffa” pensò a un certo punto l’imperatore “manderò il mio vecchio bravo ministro dai tessitori: lui potrà certo vedere meglio degli altri come sta venendo la stoffa, dato che ha buon senso e non c’è nessuno migliore di lui.”
Il vecchio ministro entrò nel salone dove i due truffatori stavano lavorando con i due telai vuoti.
“Dio mi protegga!” pensò, e spalancò gli occhi “non riesco a vedere niente!”
Ma non lo disse.
Entrambi i truffatori lo pregarono di avvicinarsi di più e chiesero se i colori e il disegno erano belli, indicando i telai vuoti.
Il povero ministro continuò a sgranare gli occhi, ma non poté veder nulla, perché non c’era nulla.
“Signore!” pensò “forse sono stupido? Non l’ho mai pensato ma non si sa mai.
Forse non sono adatto al mio incarico? Non posso raccontare che non riesco a vedere la stoffa!”
“È splendida! Bellissima!” disse il vecchio ministro guardando attraverso gli occhiali. “Che disegni e che colori! Sì, sì, dirò all’imperatore che mi piacciono moltissimo!”
Gli imbroglioni richiesero altri soldi, seta e oro, necessari per tessere e si misero tutto in tasca: sul telaio non giunse mai nulla, e loro continuarono a tessere sui telai vuoti.
L’imperatore inviò poco dopo un altro onesto funzionario per vedere come proseguivano i lavori e quanto mancava prima che il tessuto fosse pronto.
A lui successe quello che era capitato al ministro: guardò con attenzione, ma non c’era nulla da vedere se non i telai vuoti, e difatti non vide nulla, lodò la stoffa che non vedeva e riferì poi all’imperatore: “Sì, è proprio magnifica.”
Tutti in città parlavano di quella magnifica stoffa, tutti sapevano che straordinario potere avesse e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino.
L’imperatore volle quindi vederla personalmente mentre ancora era sul telaio.
Con un gruppo di uomini scelti, tra cui anche i due funzionari che già erano stati a vederla, si recò dai furbi truffatori che stavano tessendo con grande impegno, ma senza filo.
“Non è magnifica?” esclamarono i due bravi funzionari.
“Sua Maestà guardi che disegno, che colori!” e indicarono il telaio vuoto.
“Come sarebbe!” pensò l’imperatore. “Io non vedo nulla! È terribile! sono forse stupido? o non sono degno di essere imperatore?”
“Oh, è bellissima!” esclamò e ammirava, osservandolo soddisfatto, il telaio vuoto.
Tutto il suo seguito guardò con attenzione, e tutti dissero ugualmente: “È bellissima” e consigliarono all’ imperatore di farsi un vestito con quella nuova meravigliosa stoffa e di indossarlo al corteo che doveva avvenire entro breve tempo.
Tutta la notte che precedette il corteo i truffatori restarono alzati con sedici candele accese: così la gente poteva vedere che avevano da fare per preparare il nuovo vestito dell’imperatore.
Finsero di togliere la stoffa dal telaio, tagliarono l’aria con grosse forbici e cucirono con ago senza filo, infine annunciarono: “Ora il vestito è pronto.”
Giunse l’imperatore in persona con i suoi illustri cavalieri, e i due imbroglioni sollevarono un braccio come se tenessero qualcosa e dissero: “Questi sono i calzoni…e poi la giacca …e infine il mantello!” e così via.
“La stoffa è leggera come una tela di ragno! si potrebbe quasi credere di non aver niente addosso, ma e proprio questo il suo pregio!”.
“Sì!” confermarono tutti i cavalieri, anche se non potevano vedere nulla, dato che non c’era nulla.
“Vuole Sua Maestà Imperiale degnarsi ora di spogliarsi?” dissero i truffatori “così le metteremo i nuovi abiti proprio qui davanti allo specchio.”
L’imperatore si svestì e i truffatori finsero di porgergli le varie parti del nuovo vestito.
“Come le sta bene! come le dona!” dissero tutti.
“Che disegno! che colori! È un abito preziosissimo!”
“Sì -rispose l’imperatore- mi sta proprio bene!”
E si rigirò ancora una volta davanti allo specchio.
Quindi l’imperatore aprì il corteo sotto un bel baldacchino e i ciambellani che dovevano reggere lo strascico finsero di afferrarlo da terra e si avviarono tenendo l’aria, dato che non potevano far capire che non vedevano niente.
La gente che era per strada o alla finestra diceva: “Che meraviglia i nuovi vestiti dell’imperatore! Come gli stanno bene!”.
Nessuno voleva far capire che non vedeva niente. Nessuno dei vestiti dell’imperatore aveva mai avuto una tale successo.
“Ma non ha niente addosso!” disse ad un certo punto un bambino.
“Signore sentite la voce dell’innocenza!” replicò il padre, e ognuno sussurrava all’altro quel che il bambino aveva detto.
“Non ha niente addosso! C’è un bambino che dice che non ha niente addosso!”
“Non ha proprio niente addosso!” gridava alla fine tutta la gente.
E l’imperatore rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò:
“Ormai devo restare fino alla fine.”
E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c’era. –
Attilio… guerriero delle idee…che vieni dal tuo mondo di astrazioni a dissestare il mio ordinamento intellettuale…e mi lasci confuso e te ne vai da dove sei venuto…Attilio, scherzi a parte, che cosa ci vuoi dire alludendo alla storia di questo imperatore?
…mi sono chiesto cosa sono questi vestiti che tutti dicono di vedere e che non ci sono … come fa questo bambino a dichiarare una cosa così ovvia, cioè che il re è nudo?…
Il bambino vede la realtà fondamentalmente perché è ancora parzialmente fuori da un contratto sociale che lega tutti noi…
Ah questa sì che la capisco bene…Attilio mio…quelli della favola vedono che non ci sono i vestiti, ma non hanno il coraggio di dirlo per paura di essere considerati stupidi e allora si immaginano che ci sia quello che loro non vedono e che dall’alto viene detto che c’è…e se viene loro il dubbio che sia tutto un imbroglio se ne stanno zitti per non perdere la loro credibilità…insomma accettano una menzogna per essere credibili…non credono alle proprie percezioni e credono a quello che si dice…roba da pazzi!…
gli schemi sociali ideologici, il pensiero dominante, cioè il modo di vedere il mondo, le convenzioni e le mode … sono i vestiti immaginari che offrono una copertura alla nuda realtà…e per ritornare alla realtà bisogna ritornare all’ingenuità dell’infanzia…
Ma dimmi ancora qualcosa che mi aiuti a elevare il mio bagaglio eclettico pragmatico…
…l’invito che vorrei farvi è di cercare di essere un po’ stupidi insieme, almeno un po’ ingenui, per guardare le cose che ci riguardano tutti i giorni…e con questa chiave di lettura porci la domanda…siamo sicuri che l’utopia è qualcosa che non c’è o magari è la realtà che non riusciamo mai a raggiungere?…
Un invito quindi a cercare di squarciare la bolla della visione del mondo in cui siamo imprigionati, per vedere la realtà in un’ottica ingenua, cioè “nuova” e non precostituita…un esercizio non semplice ma certamente fondamentale…e noi psicologi in prima fila…
Mi viene in mente l’inizio di un articolo di Alexander Lowen del 1965, intitolato
“Il respiro, il movimento e il sentire”:
“Ci sono verità talmente evidenti che si dimostrano da sole, ma proprio per la loro evidenza sfuggono alla nostra attenzione.
Per esempio, non vi è nessuno che neghi l’importanza di essere vitali. Vogliamo essere vitali, eppure trascuriamo il respiro, abbiamo paura del movimento e siamo riluttanti di fronte alle sensazioni…” https://www.siab-online.it/media/103879/artlowen.pdf
Respiro, movimento, sensazioni…l’ABC ingenuo dei bambini…
Ma perdona l’interruzione dottor Gardino e continua l’analisi…
…I traumi e le situazioni conflittuali traumatiche che il bambino vive nella sua infanzia creano dei blocchi energetici e psichici attorno ai quali si sviluppa la sua personalità e quello che viene chiamato il carattere che ha lo scopo fondamentalmente di metterlo al riparo dal dolore che ha incontrato nella sua evoluzione… quindi è un un’organizzazione volta ad evitare: ma se noi andiamo via da qualcosa andiamo verso qualcos’altro…
Questo qualcos’altro è quello che Alexander Lowen chiama
le illusioni caratteriali.
Le illusioni caratteriali sono l’impegno che ognuno di noi ha di realizzare un sé in sintonia con il gruppo in cui ci troviamo…
molti psicologi parlano di falso sé: è un tentativo legato alla considerazione che quello che sono non va bene e quindi cerco qualcos’altro e questo caratterizza tutta la vita…
Ma siamo allora tutti mentitori?…
Caro mio Attilio …in queste cose ti conosco bene e so che non fai mai domande a caso…dicci che cosa hai in mente…
…Erwing Goffman, psicologo sociale autore di Asylums una specie di Bibbia negli anni 70 sulle istituzioni totali e i meccanismi dell’esclusione e della violenza, rappresenta la vita quotidiana come spettacolo teatrale, in poche parole la nostra messa in scena.
La riconosciamo negli altri perché la facciamo tutti, ma non la smentiamo: stiamo con la messa in scena di cui siamo più o meno consapevoli…consapevoli di quello che noi facciamo e di quello che fa l’altro, ma ci lega un patto di omertà sociale e come tutti gli animali sappiamo perfettamente che la nostra sopravvivenza dipende dalla sopravvivenza dell’habitat del gruppo…
Lo facciamo tutti e tutti siamo solidali…
…vi leggo una frase di Goffman:
“Posso solo suggerire che chi vuole combattere la falsa coscienza e destare la gente ai suoi veri interessi ha molto da fare, perché il sonno è molto profondo. Ed io non intendo fornire una ninnananna ma solo osservare il modo in cui la gente russa”
Sai che ti dico Attilio, mi vado a rivedere qualche cosa di quel che ha scritto mezzo secolo fa questo tuo autore, che io non ho mai letto… ma intuisco che nei decenni anch’io avrò detto parecchie cose che lui ha scritto…
Ci metto un po’ di buona volontà, ma alla mia età non posso studiar troppo …per cui ficcherò il naso nella Rete…e mi farò aiutare anche dall’Intelligenza Artificiale.
… Erving Goffman nel suo libro The Presentation of Self in Everyday Life” (“La vita quotidiana come rappresentazione”) utilizza la metafora del teatro per analizzare la vita quotidiana, che descrive come una serie di performance in cui le persone interpretano ruoli sociali.
L’individuo riveste contemporaneamente il ruolo di attore e quello di personaggio… non vi è mai la possibilità di essere al di fuori della scena, anche quando riteniamo di recitare una parte assolutamente spontanea e sincera.
Goffman sviluppa il concetto di “presentazione di sé“, per descrivere come le persone cercano di controllare l’impressione che gli altri hanno di loro, attraverso strategie consapevoli o inconsce, distinguendo tra situazioni “frontstage” (pubbliche) e “backstage” (private): il frontstage è la parte della vita visibile agli altri, mentre il backstage rappresenta il lato più privato delle persone.
La “presentazione di sé” è una strategia attraverso cui le persone cercano di influenzare l’opinione degli altri e include la “gestione delle impressioni” attraverso l’abbigliamento, il linguaggio del corpo e altri segnali, come gli “atti” che le persone compiono durante le interazioni sociali e i “ruoli” che assumono. Gli atti sono le azioni specifiche compiute, mentre i ruoli sono le aspettative sociali associate a una posizione o a un’identità.
La gestione delle impressioni sarebbe un insieme di sforzi consapevoli o inconsci che le persone compiono per controllare l’impressione che gli altri hanno di loro.
Si tratta di un’analisi approfondita e pionieristica sulla natura delle interazioni sociali e sulla costruzione della realtà sociale attraverso la presentazione di sé, con la quale gli uomini tentano di mantenere costantemente un’immagine positiva e coerente di sé stessi.
Ciò che conta è come appariamo agli occhi degli altri e anche come crediamo di essere visti: “Salvare la faccia” “Metterci la faccia” “Fare bella figura”.
A ben vedere questa analisi si integra in parte con quella di Friedrich Nietzsche.
La constatazione goffmaniana “non puoi essere altro che ciò che fingi di essere”.
si può accompagnare all’imperativo nietzschiano “diventa ciò che sei”.
L’imperativo nietzschiano è un appello a essere autentici e a realizzare la propria individualità.
Diventare ciò che si è richiede un’autentica accettazione di sé stessi, con pregi e difetti, esplorando e abbracciando la totalità della propria individualità, e implica anche una liberazione dalle convenzioni sociali e dalle aspettative altrui.
Un invito quindi a sfidare i ruoli imposti e a seguire il proprio percorso, anche se diverge da norme e tradizioni, in un processo continuo di auto-esplorazione e crescita. La vita è vista come un costante divenire e un continuo sviluppo della propria individualità.
L’analisi di Goffman mostra come l’interazione sociale sia nella realtà un “dramma”, in cui gli attori (la gente) interpretano sé stessi, cercando di rappresentare chi credono di dover essere o sperano di riuscire ad essere, a seconda del palcoscenico sul quale recitano e a seconda del pubblico che osserva.
In sintesi, si tratta, come tu dici Attilio, di una messa in scena e giustamente la tua domanda “siamo tutti mentitori?” sembra avere una risposta affermativa…piuttosto negativa direi giocando con le parole…
Che ne dici?
…potremmo dire che forse più che mentitori potremmo definirci attori prigionieri, artefici di uno spettacolo individuale e collettivo che continuiamo a chiamare realtà…
ma forse potremmo essere visti come persone impegnate nel sostenere reciprocamente le frottole che presentiamo a noi e agli altri…
Tutti si aspettano qualcosa da me…ad esempio come psicologo devo annuire accogliente…
Anche in psicologia ci sono delle epopee…
I ragazzi caratteriali non ci sono più: negli anni 70 era pieno di diagnosi di bambini caratteriali… negli anni 80-90 esplode la tematica del narcisismo e improvvisamente trovi nelle diagnosi sempre narcisismo… nel 2000 quello della depressione…adesso invece siamo tra il trauma e l’abuso…
Allora anche la psicologia, che si picca di essere scienza, in realtà è soggetta a delle mode: può vedere ciò che la teoria le permette di vedere…
Nel 1348 in Europa arriva la peste, un quinto della popolazione sparì in cinque anni…una vera e propria catastrofe.
Questo avvenne in una società fortemente caratterizzata da una visione teocentrica: tutto era riferibile e riferito a Dio.
C’era la domanda…come mai succede questo?
…se tutto è riferito a Dio, Dio è arrabbiato con noi…
non fu difficile all’interno di questa visione della realtà pensare agli ebrei che erano stati accusati di aver ucciso Dio…
Quindi era facile concludere che fossero responsabili di quanto Dio fosse arrabbiato e la peste ne era una manifestazione…
quindi incominciarono a eliminarli…l’eccidio più grande dopo quello nazista…
questi nostri antenati hanno fatto quello che facciamo sempre, cioè utilizzare una teoria, una rappresentazione del mondo, per interpretare il mondo.
È molto difficile cambiare le rappresentazioni del mondo…
pensate che gli astronomi impiegarono sessant’anni prima di riconoscere nel cielo i mutamenti dopo la teoria formulata da Copernico…
Perché se è anche vero che la scienza nasce rompendo la prigione dell’ideologia e introducendo il dubbio, il rischio è che si sostituisca l’ideologia stessa con la scienza…
cioè si fa combaciare il conosciuto con il conoscibile e si difende questo conosciuto come unica dimensione…quindi va a sparire fondamentalmente il mistero…
il mistero che era compagno di viaggio alla nascita tende a morire o meglio è una specie di convitato di pietra al banchetto della conoscenza.
Perché vengono difese così tanto le nostre rappresentazioni?
Perché è il luogo dove abbiamo preso casa.
Abitiamo le nostre rappresentazioni.
Non vogliamo far entrare nel nostro appartamento ospiti scomodi.
Einstein dice che è la teoria che determina ciò che osserviamo e non viceversa.
Le nostre teorie, il più delle volte inconsce, determinano il nostro habitat e la nostra volontà di proteggerle a tutti i costi.
Caro Attilio, da quando tu te ne sei andato, circa cinque ani fa, abitiamo rappresentazioni sempre più ampie e composite…già molto avevi potuto vedere e conoscendoti credo che molto avessi potuto prevedere meditando il futuro…
La globalizzazione digitale attraverso la Rete si è sviluppata in modo esponenziale… la nostra casa assomiglia a un labirinto dove c’è spazio per tutti e le diverse stanze sembrano abbastanza confortanti per chi le riesce a rintracciare…ma solo pochi hanno voglia di cercare un’uscita e la riescono a trovare …
Si tratta quindi della solita storia riveduta e corretta…che nessuno pare aver fretta di cambiare…anche perché chi lo potrebbe fare per averne gli strumenti culturali (estro e consapevolezza) e materiali (mezzi e tempo) sovente non se la sente di emigrare dal castello dei confort….
La calotta socioculturale è sempre più composita…ma in forma caleidoscopica e avvincente c’è tuttavia una subdola visione dominante…
Il condizionamento sociale, almeno parziale, di questo tessuto connettivo ideologico è piuttosto leggibile, anche se sottovalutato in nome di una presunta autonomia individuale.
Quello che invece è molto meno leggibile, più sottovalutato, e tendenzialmente negato, è il rilevante condizionamento individuale dovuto agli schemi inconsapevoli emozionali, cognitivi e comportamentali dovuti alla propria mappa personale di stampo familiare.
Nonostante il proliferare del ricorso a psicologie e psicoterapie, mi pare proprio, caro Attilio, che prevalga un approccio adattivo, volto a trovare nuovi angoli di confort nella casa di tutti…
Sempre più le persone hanno l’inclinazione a farsi accompagnare da qualche ideologia che le prenda per mano, piuttosto che prender in mano la bussola dei propri cinque sensi, delle propriocezioni che aiutino a sentire le proprie emozioni nascoste nei cassetti segreti dell’infanzia (l’inconscio viscerale) e attingere alle proprie intuizioni per cercare di crearsi una strada personale di benessere esistenziale, ritagliato necessariamente nel contesto sociale contingente.
La realtà (interna ed esterna) ci preme, ma sembra che a pochi prema di avvicinarla oltre il perimetro della “propria” ideologia, del “proprio” sistema di credenze.
Lo vedevi anche tu dottor Gardino?