Continuando a esplorare le radici del pensiero loweniano, pubblichiamo un altro contributo tratto dall’ultimo numero della rivista Corpo & identità, l’articolo di Christa Ventling “Il concetto di energia in Lowen. Una spiegazione e ridefinizione neurobiologica”.
Christa Ventling, psicoterapeuta bioenergetica svizzera, è stata tra gli esponenti di spicco della ricerca scientifica sull’efficacia dell’analisi bioenergetica come psicoterapia.
Riassunto
Alexander Lowen ha posto grande enfasi sul lavoro corporeo. Si riferiva a diverse forme di esso, partendo dagli esercizi più vicini alla ginnastica a quelli che comprendono posizioni di stress che avvicinano la persona a sensazioni corporee che richiamano esperienze traumatiche precoci e che quindi rendono possibili nuovi insight. Lowen definiva questo processo “energia attraverso l’esercizio”. Questo concetto è, comunque, confuso, dal momento che fare esercizi comprende tutte attività che richiedono energia e non la creano – a meno che non si presuma l’esistenza o la creazione di una sua forma sconosciuta. La riflessione contenuta in questo articolo cerca di chiarire questo aspetto a partire dall’esplorazione della letteratura e conclude che la sintesi di specifici neuro-ormoni potrebbe essere responsabile della creazione di quelle particolari sensazioni di eccitazione sperimentate dalle persone coinvolte in tali esperienze.
Parole chiave
Concetto loweniano di energia, movimento e nuova energia, ridefinizione di energia, neuro ormoni.
Introduzione
Alexander Lowen ci ha fornito una concettualizzazione basata su varie forme di lavoro corporeo, che chiamò “energia attraverso l’esercizio” (Lowen 1975, Lowen & Lowen, 1977). Sia che ci siamo impegnati in esercizi mattutini durante le conferenze o che siamo diventati più consapevoli del corpo attraverso la tecnica unica dei nostri terapeuti, tutti ricordiamo il sentimento speciale con cui ce ne andavamo alla fine, quello di felicità interiore, un equilibrio tra anima e mente, persino euforia. Lowen l’ha definita energia, risultante dall’attività fisica e per tutti questi anni nessuno dei suoi allievi ha messo in discussione la validità di questa affermazione, e perché dovrebbero, quando quasi tutti loro l’hanno sperimentata personalmente. Le domande vengono da altre parti: dalle altre scuole di psicoterapia, dai dipartimenti di psichiatria delle Università e dalle organizzazioni sanitarie. Vogliono qualcosa di più di una dichiarazione teorica, la ricerca è pronta per una convalida concreta del concetto.
Origine del concetto di energia
Passiamo a Wilhelm Reich per un momento. Pensava che la psicoanalisi avesse come risultato qualcosa di molto positivo per le persone. In effetti pensava che fosse l’energia cosmica ad entrare nel corpo del paziente. Seguendo questa direzione di passivo accoglimento dell’energia, è stato sviato dalla sua teoria dell’orgone. Non succede nulla quando rimaniamo passivi. Lowen ha preso l’idea di energia e l’ha collegata a uno stato fisico attivo. Ha scritto in molti dei suoi libri che c’è un flusso di energia nel corpo sano che viene bloccato quando i muscoli improvvisamente vengono contratti, come ad esempio accade in una situazione di shock, o si crea una contrazione permanente come risultato di traumi (Lowen 1958, 1972, 1978, 1980). Lowen riteneva che soprattutto i traumi della prima infanzia producessero la contrazione di parti del sistema nervoso simpatico a causa della contrazione dei muscoli innervati da questo sistema su cui non abbiamo alcun controllo attivo. Tuttavia, questo sistema è attivato dalle nostre emozioni.
Lowen ha detto che sbloccare tali sistemi “bloccati” consentirebbe il ripristino del flusso energetico. Per ottenere ciò, la psicoterapia bioenergetica ha a sua disposizione molte tecniche, in parte verbali, in parte corporee (Lowen & Lowen 1977; Dietrich & Pechtl 1995).
Alcune di questi interventi sono molto lievi, ad es. quando il terapeuta semplicemente percepisce un gesto ricorrente del paziente e lo aiuta a riconoscerlo, cosa che spesso può renderlo consapevole di qualcosa che è accaduto nella sua vita. Tale intuizione da parte del paziente può già cambiare qualcosa nel suo corpo. Altre interazioni sono più aggressive, o meglio, definite catartiche: come calciare, colpire un cubo di gommapiuma con una racchetta, o urlare a pieni polmoni, esperienze in cui in ogni caso il paziente tocca il limite della sua capacità fisica. Un paziente con una respirazione superficiale rivela al terapeuta che vive con un minimo di ossigeno, sopravvive a malapena e che ha un grave blocco nel petto. Esercizi appropriati, ad es. il “cavalletto” inventato da Lowen possono essere di aiuto in questo, perché favoriscono l’allungamento dei muscoli toracici e questo, quasi automaticamente, rende più ampia la respirazione. E poi, ultimi ma non meno importanti, sono i molti esercizi che fondamentalmente hanno in comune il risultato di far sentire che abbiamo un corpo, non che sappiamo di averlo. Aumentare la consapevolezza corporea ha un effetto benefico di per sé, in quanto ci sentiamo meglio, a parte effetti molto specifici come quello di sentirsi radicati, meglio collegati alla realtà, più forti nel trattare i problemi quotidiani.
Non c’è assolutamente nulla di sbagliato in queste interazioni terapeutiche a livello fisico, ad es. far fare al cliente una certa attività fisica o esercizi. Questo non è il problema del concetto di energia. Il problema del concetto di energia è la dichiarazione di Lowen e dei suoi seguaci secondo cui “gli esercizi ci danno più energia” e questa affermazione non è né spiegata né ulteriormente esplorata in modo sistematico.
L’attuale generazione di terapeuti bioenergetici deve tuttavia confrontarsi con la realtà (Carle, 2002). Realtà significa che il riconoscimento come scuola di psicoterapia da parte dell’Università e /o agenzie sanitarie dipende fortemente dalla qualità delle teorie e dalla convalida empirica dei concetti. La bioenergetica presenta deficit in queste aree. In questo articolo desidero trattare solo uno di questi deficit, specificamente il concetto di energia e ciò che va ulteriormente specificato.
Cosa ci insegna la biochimica
Ricordiamoci che usare i muscoli per lavorare richiede energia e più difficile è il lavoro più energia è richiesta. Tuttavia, i nostri muscoli possono funzionare solo per una quantità limitata di tempo prima di essere esausti. Prendete in considerazione la semplice prova di stare su una gamba: alcuni di noi crolleranno dopo un tempo molto breve, altri dureranno più a lungo ma, alla fine, nessuno resta per sempre su una gamba e, non avendo più energia, abbiamo la possibilità di crollare o tornare su entrambe. Per stare su una gamba, dobbiamo contrarne i muscoli molto fortemente per mantenere la posizione. Questi fanno parte dei muscoli striati che sono sotto il controllo volontario. L’energia per la contrazione viene dall’ATP (trifosfato di adenosina) presente nelle cellule muscolari. L’ATP è una piccola molecola con 3 gruppi di fosfati attaccati uno dietro l’altro.
L’idrolisi o scissione di ciascun gruppo di fosfati rilascia a sua volta una quantità elevata di energia. L’ATP è l’universale valuta della libera energia nei sistemi biologici – è il principale donatore immediato di energia libera. Viene fornita attraverso il metabolismo del glucosio. Quando facciamo un lavoro meccanico, o un esercizio, respiriamo automaticamente di più e più profondamente, e l’ossigeno che inspiriamo è usato per bruciare il glucosio e quando è finito, il nostro corpo si rivolge al glicogeno (che è una forma di conservazione del glucosio) e lo brucia. Esiste un numero di altri composti con un elevato potenziale di trasferimento del gruppo fosfato che il nostro corpo userà ogni volta che è richiesta energia meccanica. Uno dei più importanti è la creatina-fosfato, che in seguito all’idrolisi separa un fosfato ad alta energia.
Quando tutte le riserve sono sparite, collassiamo. Perché, nonostante l’esaurimento fisico ci sentiamo bene, a volte fino al punto di sentirci euforici e in qualche modo in cima al mondo? Lowen lo definisce nuova energia. Tuttavia, non può essere il tipo di energia fisica menzionata. Ricerche recenti, che hanno a che fare con emozioni e stati d’animo, hanno offerto almeno un’apertura nel ripensare il concetto di energia.
Cosa ci insegna la neurobiologia
I benefici emotivi della ginnastica erano già lodati nell’antichità ma le prove di queste affermazioni stanno arrivando solo, lentamente, ora. L’esercizio fornisce un veicolo a molti processi terapeutici non specifici, compresi quelli fisiologici della mobilizzazione e quelli psicologici della padronanza di sé e dell’integrazione sociale. Gli effetti legati specificamente allo sforzo includono l’azione ansiolitica e antidepressiva, ma anche la resistenza alle conseguenze fisiologiche ed emotive dei fattori di stress psicologico.
Esistono molte ricerche sull’effetto dell’esercizio fisico sulla sensibilità allo stress, all’ansia e alla depressione (Byrne & Byrne 1993; Salmon 2001). Dozzine di articoli dimostrano effetti di riduzione dello stress, ansiolitici o antidepressivi in persone che non hanno cercato tali benefici. Sono molti quelli che studiano l’effetto dell’allenamento continuo e dell’attività di ginnastica a lungo termine e solo pochi si occupano dell’effetto immediato di una sessione di esercizi, che si tratti di aerobica, jogging, nuoto, ecc.
Il moto è senza dubbio una forma di stress fisico e quindi ci aspetteremmo di vedere cambiamenti nei sistemi dei neurotrasmettitori[1] che sono implicati nell’adattamento comportamentale allo stress. Gli effetti noradrenergici e oppioidi dell’esercizio fisico hanno implicazioni particolari per la comprensione degli effetti clinici. Ciascuno è stato invocato per spiegare gli effetti psicologici dell’esercizio: i sistemi noradrenergici (= ormoni endogeni correlati all’adrenalina) sono stati richiamati per comprovare effetti antidepressivi e gli oppioidi (= ormoni endogeni, le cosiddette endorfine, sostanze simili agli oppiacei a causa della loro azione sedativa) sono stati invocati per spiegare il miglioramento dell’umore (Grossman & Moretti 1986). I livelli di norepinefrina cerebrale vengono diminuiti dal nuoto (Barchas & Friedman 1963) e dalla corsa forzata (Gordon et al., 1966); mentre i regimi di nuoto a lungo termine (Ostman e Nyback 1976) o di corsa conservano o aumentano i livelli di norepinefrina cerebrale (Brown & van Huss 1973, Brown e altri 1979, Dishman e altri 1997).
L’effetto immediato dell’esercizio è, in concomitanza con la sensazione di stanchezza fisica, quello di umore elevato, una sensazione di ottimismo e di una maggiore vivacità e vitalità (Turner et al., 1997). Alcuni neurobiologi la chiamano semplicemente energia mentale (Arnot 2000). L’esercizio regolare è noto per avere un effetto benefico sulla sensazione di benessere della persona ed è un metodo eccellente per diminuire la tensione e lo stress che ci privano di energia mentale. Durante l’esercizio regolare, gli ormoni adrenalina, noradrenalina e cortisone, prodotti nella corteccia surrenale, aumentano tutti nel flusso sanguigno.
Oltre ad altri effetti questi ormoni agiscono sull’amigdala che potrebbe essere chiamata “termostato dell’umore”. Più bassa è la sua attività (come mostrato dalla scansione della tomografia a emissione di positroni (PET)), migliore è il nostro umore.
Nella depressione diminuiscono i livelli di questi ormoni e questo ha portato i ricercatori a credere che essi siano strumentali all’effetto positivo dell’esercizio sull’umore. L’esercizio aumenta la respirazione, che consente un maggiore flusso di sangue e più ossigeno nel cervello, che è la chiave di tutto. Tutti abbiamo sentito l’euforia legata all’esercizio fisico come sostenuto dai corridori che esaltano il “massimo”.
Le conclusioni di tutto ciò sono le seguenti:
L’esercizio diminuisce l’energia muscolare e migliora il nostro umore.
Dobbiamo ridefinire il concetto di energia di Lowen? No. È valido, ma dovrebbe essere ribattezzato a scopo di precisione. Dobbiamo iniziare una seria ricerca altamente scientifica per scoprire cos’è l’energia mentale? Dovremmo, ma la maggior parte di noi non è qualificato per farlo correttamente. Basterebbe assumere il termine di “energia mentale” dai moderni neurobiologi? Sì, assolutamente. Sostengo questa scelta. Se siamo d’accordo nel chiamarla energia mentale e spiegarla sulla base delle scoperte neurobiologiche, il concetto di energia potrebbe essere compreso dagli psicoterapeuti di altre scuole e migliorerebbe la nostra credibilità.
Nella mia mente questa sarebbe la soluzione più semplice e saggia. Possiamo fidarci dei neurobiologi che a tempo debito avranno analizzato le molecole che si nascondono dietro il nome di energia mentale.
Bibliografia
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Note
[1] Una parola di cautela: i correlati neurochimici appaiono principalmente nel cervello e talvolta anche nel sangue. L’analisi dei componenti del cervello è fattibile solo negli esperimenti sugli animali, mentre l’analisi dei costituenti del sangue può essere effettuata negli esseri umani. Tuttavia, la barriera emato-encefalica controlla quali sostanze passano dal cervello al sangue e viceversa. I dati del sangue non sono quindi rappresentativi del cervello. I dati sul cervello che provengono da esperimenti sugli animali, sono estrapolati sugli esseri umani e ritenuti ugualmente validi. I meccanismi oppioidi negli effetti dell’esercizio sono di particolare interesse. Lo stress è noto per attivare i sistemi oppioidi centrali e periferici e questo spiega in qualche misura l’umore “alto” o anche l’effetto analgesico. L’esercizio spontaneo condivide questi effetti, aumentando l’attività degli oppioidi endogeni nel sistema nervoso centrale e periferico (Harber & Sutton 1984, Thoren ed altri 1990). Meccanismi oppioidi sono stati implicati nel miglioramento dell’umore attraverso la corsa nei corridori regolari perché il naloxone, un oppioide antagonista, attenua questo effetto (Allen & Coen 1987; Janal et al., 1984). Molti studi hanno collegato l’umore positivo derivante dall’esercizio fisico alla produzione di endorfine. La ricerca in neurobiologia degli ultimi anni ha prodotto prove dell’esistenza di piccole molecole create dal cervello, chiamate endorfine, inviate a specifici organi con funzioni altamente specifiche (Pert 1997), un esempio è l’ossitocina prodotta in quantità elevate dopo un orgasmo. È un’endorfina con funzioni multiple in quanto viene prodotta anche alla fine della gravidanza e induce le contrazioni, viene mantenuta durante il parto dove agisce come oppiaceo endogeno diminuendo i dolori e, dopo la nascita, insieme all’ormone prolattina mantiene la produzione del latte nel periodo dell’allattamento.