a cura di Rosaria Filoni
Il 14 settembre sarebbe stato il compleanno di Luisa Parmeggiani. Ci fa piacere condividere questo suo articolo, già pubblicato in Corpo e identità che Luisa aveva scritto per raccontare il suo incontro con alcuni suoi compagni e compagne di lavoro con i quali aveva fondato la Siab e che aveva invitato a casa sua. In questo racconto c’è tutta Luisa: il piacere di incontrare gli amici e le amiche, l’amore per la Siab, lo stupore e il divertimento per il dividersi del gruppo degli invitati con le donne da una parte e gli uomini dall’altra. Il tutto scritto con la vivacità e la seria leggerezza che l’accompagnava sempre. Buona lettura!
I regali della memoria
E’ accaduto così, per puro caso.
Un pomeriggio di aprile mentre seduta alla scrivania, come ormai d’abitudine, presa da quello che avrei voluto scrivere mentre il mio sguardo si posava su quel pino marittimo la cui chioma va ben oltre il quarto piano dei palazzi circostanti, mi si presentarono con insistenza i miei ottantanove anni.
La gigantesca chioma verde che si agitava davanti a me, forse per un vento che non avvertivo dentro la stanza, e una cornacchia di dimensioni che mi parvero proporzionate all’albero su cui si posava mi portarono a spostarmi sul passato come per un sopraggiungere inaspettato della memoria.
Perché? non saprei dirlo.
Come se mi mettessi a pensare a voce alta in un sommesso parlare tra me e me divenne evidente il fatto che tra pochi mesi avrei compiuti novant’anni. Sì, novanta!
D’un colpo, sentii passarmi sul palato un sapore di saliva amarognolo che mi partiva dalla gola e mi rimaneva nella bocca mentre mi mettevo a masticare a vuoto. Per cosa?
Per un rifiuto del mio presente anagrafico? Per un irreparabile commiato dall’età fresca e vibrante? Sta di fatto che quel malsano principio di realtà, per il fatto di essere più vero del vero, mi stava confermando che mese più, o mese meno, non modificavano la mia storia. Novanta sono novanta.
Sì, è vero, ma è che i novant’anni sono più mortiferi degli ottantanove a causa del loro inarrestabile discendere?
Forse, pensai, è il semplice passaggio da una decade ad un’altra che sembra sfilacciarci la vita pezzo dopo pezzo, anche se non sappiamo spiegarcelo, perché è come se ieri, oggi, domani si presentassero diversi nel loro avere un numero iniziale in più e le certezze ci sembrassero ormai appartenere soltanto agli altri! Poco prima, poco dopo, stessi sono i giorni.
Continuavo a guardare il gigantesco pino marittimo al di là dei vetri e l’ondeggiare della sua chioma che era l’unico senso di vitalità in mezzo alle palazzine e mi dicevo che anch’io, come lui, resisto forse perché ho sempre amato la vita, che era come dirmi:-“Ci sono ancora”-
Gli anni non parvero spaventarmi, come si potrebbe pensare, perché pensai che il mio cervello è ancora piuttosto lucido per incuriosirmi rispetto a qualcosa che si presenti diverso ma, soprattutto, perché molto poco si è affievolito il mio senso dell’ affettività. Allora significa che sentendomi ancora presente a me stessa avrei potuto festeggiare il mio compleanno, non fare come se non esistesse proprio.
A Roma, o in Emilia nella mia casa di campagna?
Debbo dire che durante la bella stagione, quel luogo è diventato, per me, di una attrazione quasi irrinunciabile perché, rilassarmi nella quiete della natura, tra il verde delle piante, i fiori da coltivare, i miei due dolcissimi cani, lasciare il “dover essere” vestita , pettinata, in ordine insomma, trovarmi dentro ad una libera caduta del pensiero impegnato, non dover dimostrare nulla a nessuno è qualcosa che la vita in città non permette, ma lì è normale che sia così.
Senza dire che nella casa di campagna ci sono le mie origini, ma anche la nostalgia di quello che c’era e ora non c’è è più.
Che fare? Novant’anni non sono nient’altro che un numero, un giorno da ricordare o uno strano malessere da superare? Quando decisi quello che avrei voluto realizzare il cervello mi offrì la soluzione, quella di contattare i miei colleghi del primo training in A.B. con cui trasformare una ricorrenza in una rievocazione di quando un comune passato ha rappresentato, per tutti , un inizio di vita diversa, quella della formazione in analisi bioenergetica.
Si dice la memoria! Non è la speranza l’ultima a morire, è la memoria che non deve lasciarci!
Quarant’anni! quarant’anni fa prese avvio l’idea di questa sconosciuta formazione di psicoterapia. Fu in seguito alla venuta in Italia di A. Lowen invitato dagli psicoanalisti napoletani di indirizzo reichiano, in gran parte medici che, per una strana coincidenza, o per volere del destino, uno sfortunato viaggio a New York di uno di loro si trasformò in un appuntamento col linguaggio del corpo tutto da conoscere.
Il corpo! Non più corpi da progettare i nostri, da sperimentare nelle loro prestazioni, nella loro vitalità, ma da percepire, da ascoltare in quei molteplici linguaggi che parlano di saggezza ancorandoci a quello che è, non che sembra o si immagina che sia. Questo ci dimostrò A.Lowen durante un incontro all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Continuando a guardare l’alto pino marittimo che mi permetteva con la sua forma ondulante di spaziare col pensiero, mi chiesi quali corpi mi sarei ritrovata davanti quando, aprendo la porta di casa alle ore 19.30, circa, come stabilito, ci saremmo guardati con discrezione, non dicendocelo apertamente:- “Ma sei tu? Sei proprio tu?”-
Può accadere che si sospendano i pensieri? Direi proprio di sì quando quelle che si insinuano, morbide, tenere, sono le emozioni. Mi chiesi se, quando si è già vecchi, c’è ancora la capacità di emozionarsi in occasione di un incontro voluto, cercato, e l’affacciarsi alla mente sono i ricordi che possono essere stati belli, tristi od amari perché eravamo noi, come allievi, che ci eravamo riuniti alla Clinica S. Alessandro per costruire la nostra identità professionale.
Si può parlare di oblio? Non credo proprio, si può parlare di nostalgia, di rimembranza, ma quando c’è stato qualcosa di intenso è come dire che il nostro corpo non si è mostrato indifferente a quanto gli era fatto vivere.
Il pino marittimo era sempre lì, però, maestoso e presente, a stimolarmi su come organizzare l’incontro.
Così mi attivai. Telefonai, per prima cosa, a Margherita con la quale qualche volta ci è viste perché, con gli altri colleghi, più che ai Congressi non è dato incontrarsi e i congressi non favoriscono, di certo, gli scambi di qualcosa di personale concentrati, come sono, sulla comunicazione di dati, ricerche, elaborati.
L’idea, che mi era venuta, era quella di riunirci tutti, a casa mia, in una sera da concordare, per festeggiare i miei novant’anni, non ancora compiuti, è vero, ma che sarebbe stato difficoltoso, direi quasi impossibile, festeggiare a settembre, vero giorno del compleanno, in campagna da me.
Margherita accettò subito perché, evidentemente, questo salto in un passato che sembrava ormai remoto, dovette affascinarla, per cui ci dividemmo il compito di contattare i colleghi.
Lei avrebbe telefonato alle colleghe, più vicine alla sua zona e io ai colleghi, anche se le distanze rimangono distanze ma sembrano accorciarsi quando entrano in gioco gli affetti . Importante era sentire quando Aristide si sarebbe trovato a Roma perché tutto ruotava sulla sua disponibilità.
Aristide accettò prontamente l’invito, lo stesso fecero tutti gli altri.
Dissi subito che non si sarebbe trattato di una vera cena, impensabile per la mia mancanza di aiuti in quella stessa serata, ma neppure di un anonimo rinfresco.
Che ne pensavano le altre? Dico “le altre” per il fatto che andava da sé che fossimo noi donne a provvedere ai cibi.
Con Margherita incominciarono le telefonate e non erano tanto i pensieri che ci si scambiava quanto stabilire a chi telefonare, ben sapendo che tutti erano impegnati nei loro studi e quindi indovinare i momenti più opportuni per stabilire il come, il quando, il perché, e così via, divenne l’argomento di giornata .
Cosa preparare? Indagine! Niente carne! per non parlare delle diete da rispettare! Ma questo fu un altro balletto!
Si decise che le signore avrebbero portato quello che, a loro gusto, sarebbe stato più appetibile nonostante le restrizioni concordate e, al caso, avrebbe potuto essere riscaldato.
E gli uomini? I vini, naturalmente e raffinati! Tutto sembrò marciare secondo programma.
Io mi ero riservata di preparare la tavola. Il giorno prima ero andata in un emporio dove si poteva trovare ciò che riguarda i piatti che sarebbero stati di carta, perché così si era deciso, anche se dovevano essere il più belli possibile, ma la tovaglia no! la cristalleria no!
Debbo dire che la tovaglia è un capolavoro, fatto a mano, con trine e inserti vari, fattami confezionare parecchi anni fa da uno scenografo del cinema, dato che, al tempo, frequentavo quell’ambiente.
Importante era soddisfare anche il piacere degli occhi. I miei, naturalmente, come se l’età da festeggiare avesse avuto bisogno di trovare il suo piccolo paradiso in quella tavola attorno alla quale noi, colleghi del primo training , ci saremmo parlati, soprattutto guardati.
Siamo ancora quelli della Clinica S. Alessandro, quelli che Renato Monaco aveva fatto mettere in costume da bagno perché era il corpo che doveva essere letto ?
Giovani eravamo, allora si poteva, vergognandosi, esibendosi, ma rimanendo comunque presi da come i nostri corpi venivano svelati.
Ha valore il tempo quando dentro di noi una tenera voce dice:- Come se fosse ieri! – Proprio così.
Finito di mangiare ci spostammo in sala e guarda, guarda! Gli uomini si riunirono tutti da un lato e le donne? Di fronte, naturalmente, come ai vecchi tempi, perché il parlare tra donne non è discutere tra uomini!
Sono passati quarat’anni ma è stato come se fosse ieri.
Ecco qua , allora, quelli del Primo Training che hanno deciso di incontrarsi la sera del 16 aprile 2016!
Milena Annese, Ignazio Caltagirone, Maria Luisa Aversa, Aristide Iniotakis, Margherita Giustiniani, Antonio Loiacono, Luisa Parmeggiani,Tommaso Traetta, Miretta Prezza.