Attraversare la “Tempesta”… di Shakespeare
di Gianluca Bondi
Estratto dal Contributo presentato al VIII CONGRESSO FIAP La psicoterapia sulla rotta del cambiamento
Attraversare la “Tempesta”… di Shakespeare
di Gianluca Bondi
Estratto dal Contributo presentato al VIII CONGRESSO FIAP La psicoterapia sulla rotta del cambiamento
Dal testo di William Shakespeare, La Tempesta, ho preso in prestito il tema del Perdono, come punto di arrivo, come strumento del cambiamento in psicoterapia, ma anche come possibilità di aumentare la qualità dei propri stili relazionali. Già se osserviamo la struttura della Trama, questa sembra segnare le tappe di un percorso di crescita. Il protagonista Prospero, Duca di Milano, delega per un periodo al fratello il suo Stato, per una forte crisi depressiva, ritirandosi per un periodo dalla realtà politica e sociale e rifugiandosi “in studi segreti”. Il fratello, preso da una crescente avidità di potere, gli scipperà il Ducato e lo esilierà, facendo alleanze con altri stati. In questo prologo già possiamo leggere una metafora importante legata alla mediazione che fa l’Io tra la realtà esterna e quella interna. Il regista delle nostre azioni e scelte è l’Io, che in modo circolare riceve e manda informazioni dal e nell’ambiente, coerentemente con la propria natura, con l’obiettivo congiunto di muoversi in modo appropriato nel mondo e fabbricare Anima.
Nel vissuto della depressione c’è spesso una difficoltà dell’Io con la dimensione orizzontale della vita, quella che ci chiederebbe partecipazione, quella dello stare nelle cose e nel mondo. Si preferisce allontanarsi dall’impegno che richiede l’interazione continua con i propri simili (il Ducato) in favore di una ricerca verticale, interiore, di senso delle cose che si vivono (gli studi segreti), in cui però, se si scende troppo in basso si fa fatica a risalire e si rischia di perdere il contatto con la realtà esterna. La melanconia è uno stato interiore che fatica a farsi materia, sembra fatta di una sostanza che se passasse ad essere troppo esplicita cambierebbe di stato, come avesse bisogno, per esistere, di rimanere imprigionata in qualche intenzione flebile, non abbastanza densa da farsi carne, azione. L’anima sente la necessità di fermarsi, si arrende al limite che percepisce, cioè alla difficoltà di interagire, e inizia a rivolgere all’interno il suo interesse, ad ascoltare non sempre con innocenza purtroppo, ma con giudizio e ferocia la propria Tempesta interiore. Prospero delega, rinuncia temporaneamente a governare e rimanda a un dopo la realtà esterna, privilegiando il ritiro uterino, con la consapevolezza che si nasce per rinascere, come dice Neruda, rischiando anche di perdere tutto il Regno, ovvero la capacità di essere presenti a sé stessi e interagire con il prossimo.
Lo sgretolarsi dell’illusione, che sia tutto lì ad aspettare, mentre si tenta di rimarginare le ferite, porta il depresso a sentirsi, via via che si accorge che intanto il mondo va avanti anche senza di lui, ancora più alienato. Un mio paziente riferiva che la sensazione che provava era simile a quella di andare alla stazione a fare una passeggiata e intorno a lui tutti correvano a prendere i loro treni. In quello stato emotivo in genere, non sai “…se sia più nobile vivere” prendendo il tuo treno o perdendolo quel treno e lasciare fare all’anima il suo viaggio astenendosi dal combattere e modificare gli eventi avversi. Per Shakespeare questo dilemma è espresso nel testo di Amleto nel famoso monologo dell’Essere o non essere e viene risolto in questo testo con un compromesso tra questi due approcci e filosofie di vita: Entrambi! La soluzione consiste sia nel sospendere l’Azione (essere), che nell’agire quando è il momento (non essere). Un respiro in cui si prende aria per raccogliere e si espira per immettere. E come sappiamo nella depressione una delle difficoltà è proprio respirare profondamente. Si tratta, usando un’altra metafora ancora più orientale, di caricare il Femminile e poi, col Maschile, produrre azioni intenzionali.
Torniamo alla Trama per vederne lo sviluppo simbolico: Prospero non fa in tempo a capire come conciliare, sincronizzare sospensione e azione, che il fratello fa un colpo di stato e lo manda via: sospendere troppo è come perdere coscienza e se ci assentiamo da casa si sa, potrebbero arrivare i ladri! Ecco l’Esilio, come altra metafora dell’espropriazione del sé dal proprio corpo per troppa sofferenza. Se la sospensione avviene involontariamente, come un tentativo istintivo di alleviare il dolore togliendo dal fuoco ogni nostra parte fragile, dando la responsabilità ad una realtà troppo densa e faticosa, quella non sarà una sospensione, ma una fuga: è la coscienza che regredisce e abbandona il Tempio relazionale, il tempo reale e il mondo adulto.
Il bisogno di Prospero di ritirarsi per guardarsi dentro, come a cercare un po’ di ossigeno e tornare poi ad affrontare la densità della materia reale con ritrovata forza d’animo, è il bisogno di proteggere il nostro spazio interiore e i nostri interessi da quelle parti di noi distruttive che sabotano la nostra autostima. Il diritto di prendersi del tempo per aumentare la nostra congruenza col fare, quando è possibile, va accompagnato col dovere di mantenere livelli di presenza su aspetti di vitale importanza, se non si vuole precipitare in abissi senza ritorno. Il fratello può essere letto, nella costellazione psichica di Prospero, come incarnazione del tiranno dentro di lui, pronto a ribaltare la sua intelligenza. Nel perderci rischiamo di esporci a chi è invece più vigile e presente. Il trauma dell’affronto e tradimento subìto dal fratello e l’odio che ne consegue scatena dunque la Tempesta, un’altra metafora che allude a quando alcune circostanze ed eventi, sono come un vento troppo forte che scuote il mare del nostro inconscio.
Non è affatto facile trarre dalle nostre esperienze traumatiche insegnamenti e consapevolezza; a stento e raramente si riesce a ringraziare per quel tesoro che abbiamo trovato. È più facile restare agganciati alla rabbia che cerca altri nemici per sfogare la vendetta. E invece il testo ci invita a cambiare posizione e a rimettere le mani sulle nostre ferite con maggiore attenzione e farcene carico obbligandoci ad una maggiore responsabilità materna verso noi stessi. Ci invita a stare nel dolore o meglio so-stare nello spazio temporale interiore della Tempesta, cercando di dargli un senso, trasformarla, approdare naufraghi magari ad un’isola vicina e ridare ai sensi e alla ragione lo spazio necessario per riformulare idee e conoscenza di sé. Forse semplicemente fermare per un attimo la macchina degli automatismi, andare in terapia, prendersi il tempo di guardarsi onestamente dentro. Prospero con la figlia lo fa, esiliato da sé e dal suo Ducato, arriva ad un’isola e ci rimane per un tempo sospeso, per poi tornare con intenzioni chiare e sentimenti costruttivi: allontanarsi, elaborare e crescere in uno spazio-tempo a lui necessario, gli ha dato una forza intenzionale rinnovata.
Nel setting terapeutico lo spettatore partecipante è il terapeuta che osserva la Tempesta del paziente e contiene il suo mare, fino a che questa funzione di essere al di là dei fatti e non subirne la distruzione, viene incarnata dal paziente stesso, che assume la giusta distanza dal trauma. La funzione terapeutica allora non è altro che un modo per restituire lo spazio alla persona, in cui rileggere la propria storia con altri punti di vista, in un modo che possa fargli partorire anima e non dolore, conoscenza e non credenze vuote. Il paziente si vede accolto in uno sguardo, qualcosa che risuona nel terapeuta, ma non lo immerge e lentamente una realtà che sembrava imprescindibile, diventa una realtà possibile che si può ridefinire in una ferita utile. Abbiamo bisogno di essere visti con amore e conoscenza e introiettare questo significa finire la terapia o, se vogliamo, aver vissuto una catarsi: “Il nostro spettacolo è finito e questi nostri attori erano tutti spiriti e si sono dissolti nell’aria sottile… tutto si dissolverà come la scena priva di sostanza…siamo della stessa materia di cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondata da un sonno.”