Organizzato dalla Società Italiana di Psicologia dell’Emergenza – Sipem – del Friuli Venezia Giulia – Organizzazione di Volontariato
Articolo di Diana M. Scubla, psicoterapeuta SIAB.
Nei giorni 10 e 11 settembre 2021 si è tenuto a Trieste il convegno di Sipem Sos FVG – OdV, in occasione del ventennale dalla caduta delle Torri Gemelle.
Il convegno offriva due giornate dedicate ad un dialogo aperto fra una pluralità di linguaggi, di ruoli, di generazioni per un confronto con un trauma collettivo i cui effetti ed echi viviamo ancora oggi.
La Psicologia dell’Emergenza
La psicologia dell’emergenza opera per costituire rete, ed uno dei suoi obiettivi è proprio quello di facilitare e consolidare i legami e la condivisione nella comunità, della collettività e dei distinti ambiti professionali, per sostenere e favorire una migliore resilienza sociale agli eventi critici. Ciò può avvenire sia in termini operativi durante le operazioni di soccorso ma anche in occasioni teoriche – seminariali.
Per tale ragione il convegno nasce dall’unione di tre distinti momenti – con materiali, relatori e contenuti differenti – volti a coinvolgere tutta la comunità composta da studenti universitari, colleghi/operatori dell’emergenza e cittadinanza tutta.
Il Convegno “9/11 Lontano…ma vicino”
Il convegno si è aperto il venerdì 10 settembre 2021, rivolgendosi agli studenti universitari. E’ stata presentata la psicologia dell’emergenza, i suoi obiettivi e il suo impianto teorico-tecnico, e poi si è passati a riflettere sulla specificità del trauma collettivo del 9/11 e sulla trasmissione transgenerazionale di quanto accaduto.
Il sabato 11 settembre 2021 si è sviluppato su due appuntamenti: un seminario e un incontro pubblico.
La prima mattinata è stata dedicata al seminario rivolto a psicologi, medici e personale sociosanitario dei servizi per l’emergenza. Sipem Sos Fvg – Odv ha presentato le riflessioni maturate in un percorso sul 9/11, che si è sviluppato questa primavera, mentre i relatori esterni hanno affrontato i disturbi del pensiero legati al fanatismo e al terrorismo e illustrato l’intervento, con la tecnica dell’Emdr, attivato nella comunità americana in Italia in seguito al 9/11.
La seconda parte della mattinata ha ospitato le voci di figure professionali che si fanno carico di eventi critici, talvolta di grande entità, dando avvio a un dialogo ricco, tra testimonianze e riflessioni.
Il sabato pomeriggio è stato dedicato all’intreccio tra arte e trauma collettivo facendo dialogare le immagini e l’arte post 9/11 con la dimensione psicologica e sociale.
Il trauma collettivo
Il trauma collettivo si riferisce agli effetti di un’esperienza traumatica che colpisce e coinvolge interi gruppi di persone, comunità o società. Può portare angoscia e conseguenze negative all’individuo, ma può anche trasformare l’intero tessuto di una comunità. In effetti può influenzare le relazioni, cambiare le politiche dei processi di governance, cambiare il modo in cui funziona la società e persino cambiare le sue norme sociali. Infatti, in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti, ed il mondo intero, hanno modificato le proprie politiche e procedure sui trasporti e sui viaggi per migliorare la sicurezza dei voli.
Il trauma collettivo è una reazione che può seguire un’ampia varietà di esperienze traumatiche, come le guerre, i disastri naturali, le sparatorie di massa, il terrorismo, le pandemie, l’oppressione sistematica e storica, le recessioni e le carestie o la povertà grave. Tali esperienze traumatiche possono portare a gravi conseguenze fisiologiche, psicologiche, relazionali, sociali e spirituali.
La resilienza delle comunità
La resilienza di comunità è un processo che mette in relazione una rete di capacità adattive con l’adattamento in seguito ad un evento collettivo perturbante. Le capacità adattive in gioco sono: la robustezza, capacità di resistere allo stress senza andare incontro a deterioramento; la ridondanza, ovvero la diversità delle risorse su cui si può fare affidamento; e la rapidità, la velocità nell’accedere e utilizzare le risorse.
Le comunità resilienti si contraddistinguono per la loro tendenza alla resistenza, ovvero la capacità della comunità di assorbire l’impatto; per la capacità di recupero; e alla loro creatività nel migliorare il proprio funzionamento.
La resilienza di comunità comprende non solo ciò che succede dopo l’evento critico ma anche il ruolo della preparazione della comunità al fattore di rischio.
Richard Drew – The falling men.
La foto è stata scattata alle 9.41 dell’11 settembre e fa parte di una serie di foto di persone che scelsero di buttarsi dal World Trade Center (più di 200 secondo le stime) andando incontro a morte certa.
Il virtual trauma e la psicologia dell’emergenza
Nessuno era preparato al crollo delle torri gemelle nel settembre 2001. E tutti ricordano ciò che stavano facendo quel giorno, in quell’istante. Questa capacità sembra dipenda dall’intensità del trauma e da un meccanismo di memoria biologica, che, quando attivata da un evento che supera i livelli critici di sorpresa, crea una registrazione permanente dei dettagli e delle circostanze che circondano quell’esperienza, rendendo il ricordo indelebile nella nostra mente.
L’attentato delle torri gemelle è avvenuto in diretta tv su tutti i canali di tutto il mondo. Non è stato mediato dai giornalisti, nemmeno loro sapevano quel che stava succedendo. Chi non era presente sul luogo del disastro, era presente “virtualmente”, e – come vittima secondaria – ha subito gli effetti traumatici di tale disastro, facilitando nei discendenti la trasmissione di un trauma non vissuto in prima persona, ma in qualità di spettatore.
Questi aspetti, riassunti nella sigla PTSD – Disturbo Post-Traumatico da Stress – descrivono i sintomi che si presentano in tutti coloro che affrontano un trauma catastrofico: il re-experiencing, che comprende i ricordi, i sogni, gli stati dissociativi, i flash back, il disagio e la reattività fisiologica all’esposizione; l’evitamento nei confronti di pensieri, di sensazioni, di conversazioni, di attività, di luoghi o di persone che possono richiamare l’evento; l’iper-arousal che ha le forme dell’iper-vigilanza, di risposte di allarme, dell’irritabilità, delle alterazioni del sonno, di deficit di concentrazione e memoria; e, per ultimo, l’ottundimento, che è incapacità di ricordare, riduzione di interesse e partecipazione, senso di distacco ed estraneità, ridotta affettività, assenza di prospettive future.
Oltre alla cura farmacologica del caso, la cura della parola viene attuata sul luogo dell’evento catastrofico dagli psicologi dell’emergenza con la tecnica del de-fusing e del de-briefing: in gruppo si parla di cosa è successo, di quali sensazioni, emozioni e pensieri sono comparsi.
Questo primo intervento, in emergenza, aiuta a sostenere i meccanismi di attaccamento, a potenziare la percezione di sicurezza, a mantenere la solidità minima della struttura interpersonale e psicosociale della comunità e riduce le reazioni immediate di paura, di non-aiutabilità, e di mancanza di controllo, proprie del DPTS.
Neurofisiologia del trauma
Chi ha assistito in diretta al crollo delle torri gemelle, sul luogo del disastro o televisiva, non ha avuto nell’immediato nessun aiuto ad elaborare il trauma.
Cosa succede all’organismo di fronte a un trauma da evento catastrofico o trauma virtuale? In preda alla paura accusiamo il colpo, come direbbe Van der Kolk (Il corpo accusa il colpo, mente corpo e cervello nelle memorie traumatiche, 2015).
I tre cervelli non comunicano più tra di loro (The Triune Brain in Evolution: Role in Paleocerebral Functions, MacLean, 1990). Il cervello trino è formato da tre unità: una più antica, che condividiamo con tutti gli animali, il cervello rettile, che si occupa della sopravvivenza fisica; il secondo cervello, che condividiamo con tutti i mammiferi, è il sistema limbico, o cervello emotivo; il terzo cervello, quello più “recente”, che distingue l’uomo da altri mammiferi, è il cervello razionale o neocorteccia.
Quando avviene un evento catastrofico, avviene un cortocircuito, una dissociazione tra i tre cervelli che altera la comunicazione tra i livelli inferiori del tronco encefalico e superiori del sistema limbico e neocorteccia. Il cervello rettile prende il sopravvento: lotta, fuga, congelamento o collasso. Prevalgono i sistemi di base (Archeologia della mente. Origini neuro-evolutive delle emozioni di base, Panksepp e Biven, 2012): le emozioni della paura e l’ansia conseguente ci invadono; tristezza e panico irrompono. La lotta per la sopravvivenza ci fa scappare o combattere attivando il Sistema Nervoso Simpatico spinale, che media l’immobilità/collasso del sistema vagale arcaico, atto a proteggere le risorse metaboliche.
Cerchiamo di metterci al sicuro, rispondendo ai primi due bisogni motivazionali: fisiologici e di sicurezza (La teoria della gerarchia dei bisogni, Maslow, 1954). Poi cercando sicurezza affettiva (Maslow, 1954), permettiamo ai sistemi della cura e della gioia di agire, torniamo alla base sicura, agli affetti e all’ amorevolezza; forse sentendo anche un po’ di rabbia per l’accaduto (Panksepp e Biven, 2012).
Il sistema ventro-vagale (La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione, Porges, 2011) è quello che si attiva nel contatto con i nostri cari. Uno sguardo, un abbraccio, una parola, ci fanno subito sentire meglio. Solo quando i sistemi di base reattivi si placano, mediati dai meccanismi del cervello limbico, c’è un ritorno parziale alla normalità, ed ad una ri-connessione alla neocorteccia.
Le psicoterapie a mediazione corporea
Tra gli interventi psicoterapeutici validati dall’OMS vi è l’EMDR che aiuta all’elaborazione delle informazioni legate al trauma restaurando l’equilibrio neuronale e la comunicazione tra i due emisferi cerebrali, permettendo quindi di proseguire l’elaborazione dell’informazione fino alla risoluzione. A differenza della psicoterapia tradizionale concentrata sulla costruzione di una narrativa che spieghi perché la persona si trovi in quello stato, EMDR permette la rielaborazione del trauma senza la verbalizzazione, superando così il blocco relativo alla rievocazione.
Mentre l’EMDR utilizza il movimento oculare per riprocessare le informazioni e ristabilire la neurofisiologia dell’organismo, l’Analisi Bioenergetica (Il linguaggio del corpo, Lowen, 1958) utilizza tutto il corpo ed anche specifici movimenti di Trauma Releasing (Metodo Tre. Esercizi per rilasciare stress e traumi. Berceli, 2007) che facilitano una riorganizzazione del Sistema Nervoso con la scarica muscolare e nervosa, liberando le tensioni e la memoria del trauma trattenuta in esse, facilitandone l’integrazione nel sistema corpo-mente e ripristinando il ritorno graduale alla neuro-fisiologia pre-evento, ed una risposta all’ambiente più appropriata.
L’Analisi Bioenergetica aiuta la persona, bloccata da una inibizione dell’azione (Elogio della fuga, Labourit, 1976) – che, se protratta nel tempo, può causare somatizzazioni – ad integrare le parti scisse del trauma e favorisce un adattamento all’ambiente più flessibile, creativo e stabile nel tempo. L’ Analisi Bioenergetica, con un processo di auto-etero percezione e autoregolazione aiuta l’individuo ad aumentare la propria consapevolezza, l’espressione di sé e la padronanza nell’ambiente e nel mondo.